Parlandone ad uno dei tanti incontri con il pubblico, Paolo Sorrentino ha detto ridendo che si tratta di un’opera senza trama. E in effetti Parthenope non è un film facile da seguire, apparendo come un discorso che perde spesso il filo.
Overdose
Parthenope è un susseguirsi di immagini (spettacolari anche grazie alla fotografia di Daria D’Antonio, che ribadisce tutto il suo talento dopo È stata la mano di Dio) di dialoghi, sospiri, suggestioni, pensieri. Gli stilemi sorrentiniani sono ben riconoscibili, ma la quantità del materiale proposto è massiccia. Eccessiva, persino per gli standard del regista napoletano. Un’overdose di pause, silenzi, primi piani, amori carnali che disorientano e annichiliscono più che incantare e stupire. In particolare, è l’opulenza di scene a rendere quelle più significative meno efficaci. Come se mancassero quei momenti “interlocutori” per preparare lo spettatore alle fasi cruciali del film. Anche la scrittura sembra mancare della leggerezza che ha sempre contraddistinto le sceneggiature di Sorrentino.
Parthenope è Napoli
Parthenope è tante facce. Di Napoli e della protagonista, con cui la città condivide le stesse origini etimologiche del nome, quindi anche la storia. Il personaggio interpretato da Celeste Dalla Porta (la sua grazia è la luce di questo film) cammina da una stanza all’altra della propria esistenza grazie ad una bellezza che “apre le porte”. Ogni stanza è un’esperienza di vita, la possibilità di un nuovo incontro.
Ma il film di Sorrentino non racconta la storia di una donna. Perché Parthenope non è una persona ma la personificazione di Napoli, presa dai bassifondi delle zone più popolari e mostrata al pubblico nella sua interezza. Dall’orrore dei sobborghi più poveri alla maestosità del suo lato borbonico. La protagonista nel ruolo di simbolo vivente, rimane infatti distante dallo spettatore, la sua caratterizzazione abbozzata. Una donna per certi aspetti incompiuta. Ingabbiata dai sensi di colpa e dalla paura di amare.
Sorrentino ci racconta anche la sofferenza e la fragilità del fratello di Parthenope (Raimondo/ Daniele Rienzo) ma è il Professor Marotta (Silvio Orlando) a spiccare fra tutti i personaggi. L’unico di cui possiamo toccare con mano la tridimensionalità, quello meglio scritturato dall’autore napoletano.
In sintesi, Parthenope parla di Napoli, del suo miglior e peggior profilo. L’ultima opera di Sorrentino è tutto ciò che non aveva ancora detto della città natale. In questo film sembra però mancare il suo patrimonio umano, vero punto di forza in È stata la mano di dio. L’altra dedica di Sorrentino a Napoli. La prima e fin qui la migliore.