Si tratta dell’opera terza di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, registi siciliani, che avevano già realizzato due film impegnativi come Salvo (2013) e Sicilian Ghost Story (2017): con quest’ultimo si erano guadagnati il premio de la Semaine de la Critique al festival di Cannes.
Con Iddu si aggiudicano invece il premio Francesco Pasinetti presentandosi alla mostra del cinema di Venezia 81, come proposta del miglior film italiano.
Il film si ispira ad alcuni eventi della vita del boss Matteo Messina Denaro, catturato nel 2023 dopo quasi trent’anni di latitanza, e in particolare al mezzo di comunicazione dei “pizzini” con cui gestiva i propri affari criminali. Questi pizzini vennero poi inseriti all’interno di una raccolta del 2008 che prese il titolo di Lettere a Svetonio, a cura di Salvatore Mugno.
Ad interpretare il boss troviamo Elio Germano, al cui fianco ci sono attori di altrettanto spessore quali Toni Servillo, Barbara Bobulova, Daniela Marra e Antonia Truppo.
Il momento specifico a cui i registi fanno riferimento si svolge intorno agli anni 2000: Messina Denaro ebbe un intenso rapporto epistolare con Antonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, attraverso i suddetti “pizzini”. Quest’ultimo propose alcuni investimenti e altre attività illecite al boss, mentre in realtà collaborava con il SISDE per la sua cattura. È Toni Servillo ad interpretare magistralmente la figura dell’ex sindaco, che nel film ha il nome di Catello Palumbo. A parte Palumbo e Denaro che indossano i panni di due persone reali, i due registi intessono una storia in cui finzione e realtà si mischiano a tal punto da non distinguere dove finisce l’una e inizia l’altra.
Trama
Siamo “da qualche parte in Sicilia”, non sappiamo precisamente dove, ed un padre insegna ai suoi tre figli a sgozzare una pecora: il maggiore non ha il coraggio di farlo, l’unica femmina che ne avrebbe, non ha il permesso, allora spetterà al più piccolo compiere il crudele atto, in quel preciso istante il destino del futuro boss sarà segnato.
Così viene presentata al pubblico la figura di Matteo Messina Denaro, figlio minore del boss Gaetano e capo di Cosa Nostra soprannominato “u pupu”.
Anni dopo troviamo l’ex sindaco Catello Palumbo, caduto in rovina per reati di mafia, che uscito dal carcere viene contattato dai servizi segreti: grazie al suo rapporto “paterno” con il boss (di cui egli è padrino), sarà costretto a contattarlo. Aiuterà le guardie a renderne possibile la cattura, intessendo una conversazione a tratti forbita e molto emotiva, grazie allo scambio di pizzini scritti di getto, con l’aiuto di Lucia (interpretata da Barbara Bobulova), che lo ospita a casa sua: grazie alla sua capacità camaleontica di mentire, Palumbo propone a Matteo di investire in un’attività illecita per attirarlo in trappola. Solo collaborando col Sisde, l’ex sindaco potrà tornare a mettersi in gioco in campo politico. Non sarà un compito facile, anche perché gli stessi servizi segreti si riveleranno a loro volta dei doppiogiochisti.
Recensione del film
Iddu racconta Matteo, senza mai nominare il suo cognome, ma tutti si riferiscono a lui come Iddu, in italiano: “egli” o “lui”, e noi comunque sappiamo chi è. Gli viene attribuito anche un altro appellativo: “u pupu” che oltre ad indicare il pupo, il più piccolo, fa riferimento anche all’Efebo di Selinunte, simbolo del potere tramandato ritualmente di padre in figlio. In questo film è chiaro che i soprannomi abbiano un valore importante, servono ad indicare l’essenza delle persone, ma anche ciò che rappresentano per gli altri. Infatti anche l’ex sindaco Catello Palumbo ha vari appellativi, uno dei quali è “il preside”, per sottolineare sia il suo ruolo da ex dirigente scolastico, ma anche il livello culturale più elevato rispetto al contesto in cui è cresciuto.
La parte più efficace è il rapporto epistolare fra Palumbo e Denaro, grazie anche alla bravura di Germano e Servillo. La corrispondenza risulta adeguatamente di elevato livello intellettuale, in quanto basata sulla comune aspirazione ad una cultura alta: essa rappresenta per così dire la parte di “tragedia greca”. Come riportato dalla cronaca dell’epoca, pare che i pizzini inviati dal boss fossero molto elevati, perché nel mondo della criminalità il sentirsi superiori agli altri passa anche attraverso la cultura. Di altro livello sono gli scambi verbali fra gli altri personaggi, soprattutto tra i membri dei Servizi segreti, che a volte mancano di spontaneità, e risultano spesso troppo recitati. In particolare le iniziative dell’agente Rita Mancuso, interpretata da Daniela Marra risultano poco credibili, e talvolta eccessivamente drammaturgiche.
Tuttavia il tutto è giustificato dalla libertà di interpretazione con cui i due registi hanno lavorato al progetto, traendo spunto da fatti reali, per poi presentare Messina Denaro come un latitante Don Giovanni, talvolta affettuoso ed erudito, talvolta spietato, sfiduciato sull’essenza della natura umana, ormai non più temibile come in passato, ma usurato dalla reclusione e convinto di essere ancora invincibile. Palumbo invece è un opportunista indottrinato, convinto ancora di poter controllare tutto come faceva con la scuola di cui era preside, incarna la parte più corrotta della politica ormai in rovina, che non sa rassegnarsi alla sua decadenza.
Sono gli stessi registi ad affermare che con Iddu sono fuori dallo stereotipo del film sulla mafia: intendono piuttosto raccontare un aspetto privato di essa, un modo di agire “normale” e per questo risulta a tratti disturbante, perché sembra quasi che ci somigli.
Iddu è una lettura del mondo mafioso più ancestrale dell’Italia meridionale, con una prospettiva surrealista, a tratti onirica, e un simbolismo persistente, il tutto pervaso da un’indignazione di fondo.
Da una parte ci sono rappresentazioni caricaturali folkloristiche, dall’altro atti crudi di violenza e tensione: dialoghi da commedia e scene quasi teatrali, a tratti eccessivamente isteriche, contrapposti a scene da thriller politico, il tutto condito da un’umanità di fondo dei personaggi descritti soprattutto nel loro essere umani. A tal proposito Servillo afferma “Grottesco non significa farsesco. Catello, il mio personaggio è una sorta di saltimbanco disperato da commedia dell’arte ma l’obiettivo della storia è farci chiedere come sia stato possibile che un Paese come il nostro, con la sua tradizione culturale e civile, non sia riuscito a opporsi a un universo di tale mediocrità che ha favorito per anni la latitanza di grandi criminali”.
Secondo Germano “abbiamo evidenziato le piccolezze e il tragicamente ridicolo che anche i mafiosi si portano dietro.(…) Iddu è un patologico narciso in costante rimozione di ciò che davvero è”.
L’idea alla base di Iddu è un’apologia sulla corruzione e la caducità del potere, resa tangibile dalla fotografia di Luca Bigazzi, che riesce a creare un’atmosfera cupa e opprimente della Sicilia dell’epoca. Tuttavia nella narrazione il film risente un po’ della frammentarietà introspettiva che fa perdere un po’ il ritmo della storia, soprattutto a causa delle numerose scene epistolari tra Denaro e Palumbo, che rendono il racconto più lento e a tratti impegnativo da seguire.
Si può affermare che alla fine l’incipit del film mantiene la promessa: “La realtà è un punto di partenza, non una destinazione”. I registi preparano gli spettatori ad avere un approccio al film che non sia di osservazione empirica, piuttosto li esortano a riflettere sulla denuncia delle falle della giustizia italiana e sulla caratterizzazione paradossale e grottesca della mafia.