Un biopic che potesse raccontare Berlinguer, tramite immagini di repertorio e ricostruzioni storiche. Berlinguer – La grande ambizione di Andrea Segre non sembra però aver centrato l’obiettivo.
Trama
Cinque anni della Storia italiana: dal 1973 al 1978. Anni in cui Enrico Berlinguer mette in atto il progressivo distacco dal comunismo sovietico, per virare verso il compromesso storico con il democristiano Aldo Moro. È all’interno di questa parentesi temporale che si sviluppa la trama de La grande ambizione, legata inevitabilmente agli eventi della politica dell’epoca.
Parole, parole
La storia è intervallata da momenti domestici, frutto di aneddoti e ricordi della famiglia Berlinguer, allo scopo di mostrare lo spessore politico quanto umano del Segretario del PCI. Sicuramente il più amato nella storia della sinistra italiana. A rendergli onore, l’ennesima interpretazione magistrale di Elio Germano, tra i pezzi pregiati del panorama cinematografico nostrano. Meno all’altezza del personaggio narrato invece, lo sviluppo dell’intero lungometraggio, appesantito da un indugiare su eventi che con il protagonista hanno a che fare solo relativamente e ricostruzioni fin troppo minuziose.
Sono soprattutto le parole a spiegare il susseguirsi degli eventi, lasciando alle immagini un ruolo marginale. Il film si infittisce di dialoghi molto lunghi, spesso fine a sé stessi. Ad essere efficaci sono solo i discorsi di Berlinguer, fedelmente riproposti nelle scene dei comizi ed incontri politici. Del protagonista si può cogliere il senso di responsabilità che lo stesso Segretario avvertiva nel rappresentare il partito. Ma nulla più. L’opera di Segre si caratterizza per una dovizia di particolari e precisazioni che la rendono didascalica.
Una difficile coabitazione
L’anima puramente cinematografica del film sembra infatti soffocata dal lato documentaristico dell’opera, con un continuo rimando a date e nomi di personaggi che non sono approfonditi ma solo citati. Segre non osa, rimanendo sempre un passo indietro la storia raccontata, forse per paura di corromperla. Nel rispetto dei fatti, ma senza mai coinvolgere lo spettatore. È l’assenza di un taglio narrativo vero e proprio ad appiattire la narrazione. L’emotività è delegata allo stesso Germano, che non può da solo trascinare questo dolmen di nozioni e date.
Le immagini di archivio del funerale di Berlinguer trasmettono molto più di certe scene, al termine di un film che sa tanto di occasione persa.