
Nella fretta di crescere, spesso dimentichiamo ciò che ci ha resi la persona che guardiamo ogni giorno allo specchio. La vita da grandi, opera prima di Greta Scarano, è un monito a custodire il più importante dei doni: il bambino che siamo stati.
L’idea
L’opera nasce da un’esibizione a Italia’s Got Talent. Nel 2019, Margherita e Damiano Tercon salgono sul palco dello show televisivo, portando uno sketch che strappa grandi risate al pubblico e ai quattro giudici. Margherita, all’apparenza cinica e inopportuna, spiega che è venuta solo per accompagnare il fratello, affetto dalla sindrome di Asperger e non autosufficiente. Damiano comincia però a cantare, prendendola in giro e dicendo che sì, sarò pure autistico, ma a mantenerti ci penso io. Greta Scarano ne rimane estasiata e comincia a scrivere il suo film.
Tutta la leggerezza de La vita da grandi
Ispirato al libro Mia sorella mi rompe le balle (ed. Mondadori, 2020) che racconta la storia dei fratelli Tercon, La vita da grandi è un esempio di rara dolcezza, grazie allo stile narrativo così semplice e delicato allo stesso tempo. Leggero, ma non per questo superficiale, come insegna Calvino, per planare sul mondo e, nel caso del debutto di Scarano, sopra le storie, i volti e gli sguardi dei suoi personaggi.

L’intero film è fatto di primi e primissimi piani, capaci di esprimere ciò che le parole non dicono, quando non esplicite. Omar/Yuri Tuci (Damiano Tercon) infatti non ha vergogna di palesare i suoi sentimenti, tanto da spaventare a volte chi gli sta intorno. Anche la sorella Irene/Matilda De Angelis (Margherita Tercon), ha paura della sua trasparenza, imbarazzata e preoccupata per quello che gli altri possano pensare del fratello. Così tanto, da sentirsi in obbligo di spiegargli come diventare dei veri adulti. “Per dopo” come specifica la madre, quando i genitori non ci saranno più. Irene insegna quindi a Omar come stare al mondo, fino a quando i ruoli non finiscono per rovesciarsi.
Dedicato
La vita da grandi, si presenta come una dedica a tutti quelli che, in un mondo grigio tentano di colorare i propri sogni con i colori pastello dell’infanzia. Pastello, come sono i vestiti dei due protagonisti, gemme luminose nelle uggiose settimane di Rimini, dove Irene torna a prendersi cura del fratello. La sceneggiatura si compone di dialoghi autenticamente naturali e spesso brillanti, ma anche pieni di confessioni dolorose.

L’opera prima di Scarano, racconta un mondo prezioso, incastonato nei pregiudizi e nella meschinità della gente. Un microcosmo di comitive improbabili, poster vivaci, tricicli con portapacchi e pedalate in ciabatte. Lo spettro di un’infanzia, quella di Omar, passata venendo additato per quello che non era e non poteva fare. La voce di Irene per alleviare dolore e ansie del fratello, sussurrando quella vecchia canzone (Ci vuole orecchio di Enzo Jannacci) colonna sonora del film. Particolarità e momenti toccanti che illuminano gli occhi degli spettatori, per il puro divertimento o la commozione senza pietismo.
Un invito
La vita da grandi, si sofferma sulla fallibilità delle persone comuni, parlando degli inciampi, inevitabili quando si insegue un sogno, ma anche della possibilità di rialzarsi senza perdere mai la speranza. Quella che, riaccendi dopo esserti nascosto dietro una vecchia canzone, l’anta di un armadio per non farti trovare dall’amico di giochi o sotto un fortino di coperte. Dove ridere in libertà, magari per il finale scontato di una barzelletta stupidissima. Come fanno gli adulti, quando tornano bambini.