Il pallone cade, si ferma adagiandosi sul prato verde del campo bagnandosi un po’ del suo umido, poi su, schizza in aria come avesse vita propria. Entusiasta sfera, spinta da una forza ultraterrena. Quella di un dio (del calcio), ovvero Diego Armando Maradona che palleggia sulle note di Live is Life, prima della finale di Coppa UEFA che il suo Napoli vincerà, trascinato come sempre dal talento soprannaturale del Diez.
È il 1989, l’anno dell’unica coppa europea nella storia del Napoli. Di qualche anno prima (1985) ,invece, il brano degli Opus che accompagna il riscaldamento più famoso della storia del calcio, rimbalzato su ogni angolo di qualsiasi social, come accade con i trailer o le scene più famose dei film celebri. Sì, perché quello di Maradona non è solo palleggiare, ma una forma d’arte. È il modo, la naturalezza, con cui lo fa a rendere speciale l’intera scena. Come i registi con i fotogrammi della vita, altrimenti scialbi momenti che passano, ignorati, lungo la linea temporale degli uomini. Deve essere per questo, per l’arte che Maradona sapeva donare a chi ne vedeva le gesta, che il Pibe de Oro, ha spinto altri registi a farci dei film. Chi per sublimare cosa Diego ha rappresentato per Napoli, chi perché bastava Maradona per fare qualcosa di quantomeno godibile.
The Young Pope
Se c’è uno, tra i grandi registi italiani che più ha fatto di Maradona e del Napoli, oltre che di Napoli, una ragione di vita, quello è Paolo Sorrentino. Napoletanissimo e da sempre molto legato alla sua città natale, nonostante gli anni di formazione a Roma. Una passione che in qualche modo il premio Oscar de La grande bellezza, si è spesso portato con sé nei suoi lavori. Forse perché nella scritturazione di soggetti e sceneggiature si mette molto di sé e la squadra del cuore non può che far parte della propria identità. Tant’è che persino in The Young Pope, serie capace di riscuotere un successo clamoroso in Italia come all’estero, il Cardinale Angelo Voiello, fa la sua apparizione mentre indossa una maglia del Napoli.
Anche il personaggio inventato da Sorrentino è un tifoso azzurro, come tra l’altro l’attore che nella serie lo interpreta (Silvio Orlando). La scena ha fatto il giro del mondo e regalato al web una perla preziosissima: uno striscione della tifoseria napoletana con su scritto “Cardinale Voiello uno di noi”. Quando tifo, realtà e finzione si intrecciano, regalando poesia.
E chissà, come avrebbero reagito i tifosi napoletani all’esultanza del Cardinale, nella scena che ha predetto con qualche anno d’anticipo lo scudetto dei partenopei. Scena poi tagliata per volontà dello stesso Sorrentino, casomai avesse portato iella. Perché, per dirla con un altro grande napoletano: “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”.
È stata la mano di Dio
Da questa passione smodata ai limiti del patologico, Sorrentino è affetto sin da ragazzo. Infatti, anche quando parla dei trascorsi giovanili, la sua storia si intreccia inevitabilmente con quella del Napoli e in particolare dello scudetto del 1987 che fa da sfondo all’ ultima opera sorrentiniana.“È stata la mano di Dio”, film autobiografico del 2021, racconta, fra le tante altre cose, dello sbarco sul pianeta Napoli dell’extraterrestre Diego, dopo un’attesa per i napoletani a tratti lacerante, sintetizzata dalla frase di Alfredo (zio del protagonista Fabio) che al nipote senza ironia confessa: “Se Maradona non viene a Napoli, io mi uccido”.
Il legame fortissimo tra la settima arte di Sorrentino a quella calcistica di Diego però non sorprende. Dopotutto a Maradona, il regista partenopeo deve tutto. Fabietto, che nel film si salva perché c’è Maradona ad “aspettarlo” il giorno di Napoli-Empoli, è lo stesso Sorrentino che quel giorno non partirà con i suoi in Abruzzo, sfuggendo alla morte. Non è un caso quindi, che durante i ringraziamenti per l’Oscar a La grande bellezza, sia spuntato anche il nome di Diego. Il dio, per mano del quale ha avuto salva la vita.