Da ormai più di sessant’anni, la città di Taranto convive con l’ombra opprimente dell’ex Ilva e i cittadini sono costretti a dover scegliere tra lavoro e salute. Due diritti che dovrebbero non entrare in conflitto ed essere garantiti dalla Costituzione. La storia della Palazzina Laf è solo un esempio di decenni di soprusi. Dapprima una vergogna, poi un fatto di cronaca, la Palazzina dell’ex Ilva è infine diventata nel 2023 l’ispirazione per un film, diretto dal tarantino Michele Riondino, capace di urlare al nostro Paese il dolore di una gente intera attraverso la potenza della settima arte.
Il quadro storico
Tutto ha inizio nel ’95 quando in risposta ad una crisi dell’acciaio che ha colpito anche l’Italia, lo Stato si ritrova costretto a privatizzare le proprie aziende. L’Italsider di Taranto diventa quindi Ilva, passando nelle mani della famiglia Riva che avvia una fase di “ristrutturazione”. Nessuno ha il permesso di protestare contro i proprietari dello stabilimento, nonostante le continue morti sul lavoro e lo sfruttamento degli operai obbligati a turni massacranti. Chi si permette di contrastare i padroni, viene confinato nella Palazzina Laf. Si chiama mobbing, ma in Italia fino a quel momento è una parola sconosciuta.
I personaggi
Si sviluppa in questo quadro storico, il lungometraggio che ha segnato l’esordio alla regia di Michele Riondino. Film di denuncia e commedia dolceamara, Palazzina Laf è un teatro di maschere capace di riassumere le due categorie in cui si dividevano le persone che animavano quell’Ilva di fine anni Novanta. Da una parte gli esiliati della Palazzina Laf, orgogliosi e testardamente in lotta contro l’arroganza dei padroni, dall’altra, Caterino Lamanna.
Persona gretta ed ignorante, il protagonista (negativo) del lungometraggio è la perfetta espressione di una comunità che il compianto Alessandro Leogrande (giornalista e scrittore tarantino), non ha paura di definire come caratterizzata da due fondamentali peculiarità: “sudditanza nei confronti dei poteri forti, mista alla cupidigia di chi vuole scavarsi una propria nicchia nel gioco delle parti”. È proprio la cupidigia a spingere Lamanna, interpretato dallo stesso Riondino, ad accettare la proposta di fare la spia nella Palazzina. A regalargli questa possibilità, il dottor Basile (interpretato da uno straordinario Elio Germano), un “Caterino che ce l’ha fatta” come ha sintetizzato il regista del film.
La narrazione
Caterino non vede l’ora di “andare in vacanza” come i dipendenti della Laf, considerati dagli altri operai come sfaticati, ma ben presto si rende conto che la vita nella Palazzina non è come si immaginava. I confinati, condannati alla noia, sono preda di una follia che diventa una prigione nella prigione. Nel film, il tutto è descritto con l’uso sapiente del grottesco d’ispirazione fantozziana e personaggi caricaturali. La recitazione proposta dagli attori, perfettamente sopra le righe, mette in risalto la condizione dei lavoratori che in quella palazzina perdevano la ragione. I più lucidi provano a denunciare la loro condizione, ma è come battere i pugni dentro una campana di vetro.
I temi
Il lungometraggio racconta, con l’immediatezza delle immagini, anche l’impatto devastante del siderurgico sull’ambiente. Ogni ripresa indugia sulla desolazione che caratterizza ancora oggi i dintorni della zona industriale. Non è un caso che il film inizi con la celebrazione di un funerale. Perché Palazzina Laf soprattutto di questo parla: di morte. La morte di tutti quegli operai lasciati a loro stessi da un padrone che mostra indifferenza e uno Stato connivente, la morte della dignità dell’uomo, di una comunità intera, di una terra resa landa desolata. L’Ilva, è fonte esclusivamente della ricchezza dei potenti che hanno colonizzato e fatto razzie. Ai tarantini resta solo la “monnezza”.
“Ma vi siete mai chiesti come mai accanto alla più grande acciaieria d’Europa non ci sta nemmeno una fabbrica di forchette? Il nostro acciaio serve a costruire la ricchezza di qualcun altro”.
Taranto ai David: un successo insperato
Palazzina Laf ha rappresentato per i tarantini un piccolo riscatto dalla propria condizione. Il film di Michele Riondino ha infatti trovato non solo consenso del pubblico, ma anche incontrato il plauso della critica che lo ha incoronato con numerosi riconoscimenti. Tra questi, vale la pena sottolineare le varie candidature e i premi assegnati nell’ultima edizione dei David, contrassegnati finalmente dal ritorno di un cinema politico in grado di trasporre cinematograficamente la realtà senza compromessi. Riondino, premiato come miglior attore protagonista, ha parlato di un possibile nuovo inizio per la città ionica. Una città chiamata a pensare ad un avvenire che vada aldilà della monocultura siderurgica.
Taranto è una terra che, come canta Diodato nella colonna sonora di Palazzina Laf, non è stata difesa, ma su cui potrebbero un giorno sbocciare “fiori bellissimi”.