22 Settembre 2024

Siamo veramente stanchi di vedere attori che ci danno false emozioni, esauriti da spettacoli pirotecnici e effetti speciali. Anche se il mondo in cui si muove è, in effetti, per certi versi fittizio, simulato, non troverete nulla in Truman che non sia veritiero. Non c’è copione, non esistono gobbi. Non sarà sempre Shakespeare ma è autentico. E’ la sua vita.

Christof, The Truman Show (1998), 00:29

TRAMA

Il 1998 regala al pubblico mondiale uno dei film più riusciti di tutti i tempi: The Truman Show. Diretto da Peter Weir e candidato a tre premi Oscar, la pellicola vede come protagonista un ragazzo di nome Truman Burbank, interpretato da Jim Carrey. Il giovane vive a Seaheaven, una tranquilla cittadina dove lavora come agente assicurativo. Ha una moglie infermiera e degli ottimi vicini di casa. Insomma, questa è la vita di Truman: una routine fatta di saluti e percorsi da casa al lavoro e viceversa. Una realtà perfetta e plastificata dove tutto sembra così nella norma in cui lo stesso protagonista comincia ad accusare il peso di quella routine che lo porta a pensare a nuove esperienze o a viaggi. Non a caso, ogni qual volta decide di concretizzare il suo sogno, qualcosa lo blocca. Dopo l’ennesimo tentativo sfumato, comincia a riflettere sulle numerose coincidenze che gli si presentano.

Dopo tanto indagare scopre che la stessa cittadina in cui vive in realtà non è mai esistita. Seaheaven è soltanto un enorme studio televisivo di Los Angeles dove Truman vive da sempre e di cui ne è il protagonista. Uno show studiato in maniera meccanica, che ha mandato in onda persino la sua nascita e che sin da allora va in diretta ventiquattro ore su ventiquattro facendo della sua vita il più grande spettacolo della storia della televisione, creato dal regista Christof -Ed Harris-. Questi si relaziona con quel mondo dall’alto dello studio posto sopra al cielo fittizio della cittadina, quasi come se fosse un Dio onnisciente che influenza a suo piacimento gli eventi nello show. Christof come padre religioso ma anche e soprattutto padre di Truman, che si emoziona nel ricordare la sua nascita in diretta.

UNO “SHOW” PIÙ ATTUALE CHE MAI

The Truman Show anticipa proprio ciò che sarebbe successo da lì a breve: rendere il quotidiano il nuovo palcoscenico ed elevare la normalità a show dove unico scopo è quello di intrattenere lo spettatore a qualsiasi costo. La crudeltà di Christof sta proprio in questo: portare avanti lo show fino alla fine anche quando è in gioco lo sfruttamento di qualcuno; è lo stesso tipo di “gioco” che si utilizza in particolare oggi a causa dell’affermazione di mezzi di comunicazione, quali la televisione o i social media. Non è importante quanto si finga, rida o pianga, ciò che conta è mostrarlo e trarne profitto.

Christof stesso non si rende conto di essere a sua volta il personaggio di un film, mettendo in atto un gioco meta-cinematografico. Peculiare anche la scelta dei nomi nello show: Truman -True man- è l’unico vero uomo del racconto, a differenza di nomi fittizi che lo circondano e che palesemente richiamano la finzione, come il suo migliore amico Marlon o sua moglie Meryl.

Numerosi gli sguardi in macchina da parte del protagonista, rivolto sia verso “il suo spettatore” sia verso lo spettatore fuori dall’ambiento diegetico, ossia noi, confermando ancora una volta il gioco meta-cinematografico. Nel film -ma anche e soprattutto nella vita di Truman- numerose sono le telecamere nascoste che mostrano ciò che registrano in tutte le ore della giornata. La pellicola esce nelle sale alla fine del XX secolo, periodo in cui si fa strada sempre di più l’avanzamento tecnologico accompagnato da nuovi show televisivi. Il film, infatti, anticipa ciò che negli ultimi anni si va concretizzando sempre di più: l’affermarsi della tecnologia sull’intimità umana. Si noti, come il pubblico che osserva assiduamente e curiosamente Truman comodamente dalle loro poltrone, altro non sia che lo specchio della società di cui facciamo parte. Proprio per questo, nonostante l’uscita del film nelle sale risalga a più di venticinque anni fa, risulta più che mai vicina ai nostri giorni.

NOI E TRUMAN

Nel mondo di Truman, trattandosi appunto di uno show televisivo, risulta forte la componente pubblicitaria. I prodotti e i marchi sono inseriti in modo subdolo nelle scene quotidiane, con pubblicità che appaiono sullo sfondo, sulle magliette dei personaggi e nei discorsi di quest’ultimi. I prodotti sono sempre collocati in modo da essere visibili al pubblico, utilizzati dagli attori come strumenti di distrazione, spesso mostrati in dettaglio. Questa sovrapposizione di pubblicità nel mondo di Truman riflette la commercializzazione e la manipolazione dei media nella società contemporanea, proprio come accade con noi dall’altra parte dello schermo, costantemente sottoposti a nuovi stimoli e prodotti. Inoltre, sottolinea il controllo che i creatori dello show esercitano sulla vita del ragazzo, trasformando ogni momento della sua esistenza in un’opportunità di marketing.

Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta. E’ molto semplice.

Christof, The Truman Show (1998), 1:03:14

Il finale ritrae Truman, in cima a delle scale, che metaforicamente portano verso al cielo e quindi alla sua libertà. Truman rivolge un ultimissimo sguardo in macchina, interpellando il suo pubblico, lo spettatore nel film e l’osservatore esterno, coloro che lo hanno seguito attentamente dall’inizio fino alla fine. Il finale accende degli interrogativi nello spettatore (questa volta quello al di là dello schermo), che a questo punto si chiede se anche lui sia complice di quel “sistema” messo in piedi dalla mente di Christof, dato che i numerosi sguardi in macchina si rivolgevano sì al pubblico fittizio, ma in qualche modo rivolti anche a noi.

Lo spettatore nel film è così affezionato a Truman da commuoversi nel momento in cui lo show viene chiuso. Nonostante Christof lo sproni a rimanere, Truman se ne va e il programma smette di esistere. Si piange, ma solo per un secondo… Dopodiché si cambia canale alla ricerca della novità, della tendenza, in modo da appassionarsi a nuove storie e soddisfare il piacere della curiosità umana.

La pellicola si dimostra così, dall’inizio alla fine, la perfetta metafora della nostra società: controllati da chi conosce i nostri gusti, piccoli e curiosi voyeurs della vita dell’altro, convinti di possedere una libertà che in realtà non ci appartiene.